E SE FOSSI COSTRETTO A RIMANERE?

PROCESSI CREATIVI PER LA COSTRUZIONE DI LEGAMI SOCIALI.

Piedimonte Matese 2024-2025

- in corso -

Ribaltando la retorica sull’abitare le aree interne, i partecipanti condivideranno il what if  “E se fossi costretto a rimanere?”: chiusi i confini territoriali, come in un lockdown, occorrerà immaginare e reinventare vite e relazioni sociali.

Promosso dalla ASL di Caserta / UOSM 15, il progetto sarà realizzato dall’associazione Rena Rossa in collaborazione con la Fondazione Bonaventura e transverberA, e coinvolgerà un gruppo di giovani in una serie di laboratori creativi (teatro, lettura e scrittura). Il processo sarà raccontato in una docufiction finale. 

I racconti dell'isola deserta

Dopo mesi di piogge incessanti le dighe crollarono e il Matese si ritrovò sott’acqua. Solo alcuni centri abitati non furono sommersi, e quando l’onda si placò apparve all’orizzonte un arcipelago. Sull’isolotto nessuno sembrava però rendersene conto. La vita ferveva, nel tentativo di riorganizzarsi, ma gli abitanti percorrevano i vecchi sentieri come sciami di sonnambuli. Ogni volta che provavano ad andarsene, fagotto in spalla, come avevano sempre fatto, il loro sguardo inebetito scivolava sul tappeto d’acqua che li abbracciava in un assedio muto e inesorabile. Allora se ne tornavano a casa, con la sensazione di essere soli e di non poter fare altro che restare. Ma dove? All’indomani della catastrofe avevano cominciato a soffrire di uno strano disturbo della memoria, come se l’onda avesse infranto le barriere psichiche inondando le loro reti neurali. Tornavano ogni giorno a casa, ma ormai erano come stranieri a casa propria. Nulla era scontato, non potendo più contare sul tessuto di abitudini e tradizioni che fino allora li aveva tenuti aggrappati alla storia. Tutti i legami erano saltati o sospesi. Camminavano indaffarati, per ridare slancio alla vita, ma i loro passi non trovavano un terreno su cui fare presa. Galleggiavano sulla terraferma. Forse il disturbo della memoria nasceva dal fatto che il diluvio aveva rimescolato le acque del passato, del presente e del futuro. Il tempo era fuori di sesto, e questo era l’assedio che li minacciava nel profondo. Un giorno sull’isola si sparse la voce che le acque circostanti erano infestate dagli squali. La gente si barricò in casa, con il risultato di vedere gli squali attraversare il salotto o fluttuare in cucina con le fauci spalancate. Proprio in quel momento però qualcuno cominciò a immaginare che in quella distesa infinita potesse esservi un arcipelago. Nell’oceano senza rive apparvero dei bracci di mare, che potevano essere attraversati per incontrare gli altri e magari riscoprire se stessi. Un mondo, nonostante tutto, diventava di nuovo possibile.

“Ogni isola è e resta teoricamente deserta.
L’uomo vi esiste già, ma un uomo poco comune, un uomo assolutamente separato, assolutamente creatore, in breve un’Idea di uomo, un prototipo, un uomo che sarebbe quasi un dio, una donna che sarebbe una dea, un grande Amnesico, un puro Artista, coscienza della Terra e dell’Oceano, un enorme ciclope, una bella strega, una statua dell’isola di Pasqua.
L’isola è ciò che il mare circonda, se ne può percorrere l’intero perimetro, è come un uovo. Uovo del mare, è rotonda. Tutto avviene come se avesse messo il deserto attorno a sé, al di fuori di sé. Il deserto è l’oceano che le sta intorno.
Si tratta di ritrovare la vita mitologica dell’isola.
Bisogna ritornare al movimento dell’immaginazione che fa dell’isola deserta un modello, un prototipo dell’anima collettiva.
Essa è l’origine, ma l’origine seconda. L’isola è il minimo necessario a questo ri-cominciamento, il materiale sopravvissuto della prima origine, il nocciolo o l’uovo irradiante che deve essere sufficiente a ri-produrre tutto.
Non c’è una seconda nascita perché c’è stata una catastrofe; semmai l’opposto: c’è una catastrofe successiva all’origine poiché ci deve essere, dopo l’origine, una seconda nascita.
La seconda origine è dunque più essenziale della prima, ma questo tema, più ancora che nella nostra fantasia, si manifesta in tutte le mitologie. È molto conosciuto come mito del diluvio. L’arca si ferma sull’unico punto della terra che non è stato sommerso, luogo circolare e sacro da dove il mondo ricomincia.
L’idea di una seconda origine dà tutto il suo senso all’isola deserta, sopravvivenza dell’isola santa in un mondo che tarda a ricominciare.”

Gilles Deleuze, Cause e ragioni delle isole deserte

Perché vi sia una seconda nascita, bisogna però correre il rischio di una seconda catastrofe. La prima catastrofe può essere una calamità naturale, una pandemia oppure la guerra. L’incertezza e l’insicurezza dilagano destabilizzando i rapporti sociali.

Né bene né male – si può andare in una direzione o in un’altra – Eros e Thanatos confusi in un abbraccio mortale.

Ma qui, nella breccia abissale dove un possibile si schiude, si apre anche il rischio della seconda catastrofe.

Può infatti succedere che un altro diluvio distrugga definitivamente i legami sociali. Questa è la vera catastrofe, che sbarra l’orizzonte di qualsiasi rinascita. È la paranoia, che s’insinua come la peste sulla nave dei naufraghi, che segue come un’ombra i popoli erranti nel deserto. È la mano che addita il nemico dietro ogni ombra, la voce che di soppiatto suggerisce “meglio volere l’odio che il nulla”. Perciò bisogna sempre fare i conti con gli squali che assediano l’isola deserta. Gli altri non esistono da qualche parte separati da noi. L’altrove va inventato. Solo quando saremo disposti ad accogliergli, gli altri sbocceranno sulle nostre rive e forse un mondo ricomincerà.