Pratiche artistiche per la promozione di legame sociale
Nel 1987, con il cosiddetto rapporto Brundtland Our Common Future, sono state poste le basi del concetto di sostenibilità:
“Lo sviluppo sostenibile è quello che consente di soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere quelli delle generazioni future”.
Da allora tale principio continua a informare i programmi dell’ONU, fino all’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile, sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri. Nel frattempo, tuttavia, il concetto di sostenibilità, in continuo mutamento a causa delle interazioni tra gli ecosistemi e il sistema antropico, si è ampliato: non si riferisce più unicamente alla dimensione ambientale, ma comprende anche quella economica e quella sociale, indicando una condizione globale di benessere da conservare o accrescere, affinché le generazioni future possano godere di una qualità della vita non inferiore a quella attuale.
In una prospettiva “integrata”, la questione del legame sociale assume un particolare rilievo. Le guerre e le migrazioni; le crescenti e sempre più drammatiche diseguaglianze; la crisi del welfare e la disgregazione dello spazio pubblico; l’erosione delle forme di vita comunitarie e la distruzione dei rapporti solidaristici; l’individualismo esasperato che accentua la competizione, trasformando la vita sociale in una lotta di tutti contro tutti per l’affermazione di sé o per la semplice sopravvivenza: tutto questo fa sì che il legame sociale sia minacciato nella sua stessa possibilità. Tuttavia, come gli ecosistemi naturali, anche gli ecosistemi socioculturali sono basati sulla connessione e l’interazione fra i diversi elementi che li compongono.
Per questo, la possibilità di promuovere forme di legame sociale dovrebbe essere la priorità in una logica di sostenibilità ecosistemica: la prima cosa di cui dovremmo prenderci cura, per consegnare alle generazioni future un mondo “vivibile”, aperto e ricco di connessioni, è la capacità di sviluppare relazioni basate sulla reciprocità, la solidarietà e la cooperazione.
Soprattutto se pensiamo che il legame sociale si genera e, costantemente, si rigenera grazie alla capacità di raccogliersi attorno ai vecchi e ai nuovi “traumi” che costellano lo spazio sociale, interrogandosi collettivamente sui problemi a cui ci espongono, piuttosto che delegare agli “esperti” la loro soluzione e la loro gestione. La posta in gioco del legame sociale è anche una sfida nel cuore delle nostre democrazie.
L’arte può essere una risorsa fondamentale in tal senso. A condizione però che non sia relegata in uno spazio separato e privilegiato, ma sia considerata invece come una pratica sociale, implicata sin dall’inizio nella lotta per la sopravvivenza – tra urgenza e creatività, necessità e desiderio – che stimola il lavoro della cultura, e dalla quale può emergere una forma di vita possibile. Perciò l’arte dovrebbe insegnare prima di tutto solidarietà e cooperazione. Nella mistica cattolica, il termine “transverberazione” designa la trafittura del cuore, con un dardo affilato o una lancia, da parte di un angelo o di Cristo. Pensiamo alla Transverberazione di santa Teresa d’Avila, la scultura conservata nella chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma, con la quale Gian Lorenzo Bernini ha mirabilmente rappresentato l’episodio raccontato dalla santa nei suoi scritti. Parlare di transverberazione dell’arte (genitivo oggettivo e soggettivo) significa alludere a una pratica artistica doppiamente “trafitta”: a monte dai problemi con cui siamo chiamati a confrontarci; a valle dai legami che, per affrontare tali problemi, siamo ogni volta indotti a creare. Un’arte che, facendosi “cassa di risonanza traumatica” (dal greco trauma: perforamento, trafittura, ferita), non cessa di fare appello al “popolo che manca”, ossia al legame sociale che potrebbe nascere dagli incontri attorno al cratere dei problemi che continuano a ferirci.
I progetti di arte transverberata sono costruiti e realizzati in collaborazione con gruppi che, in qualche modo, interrogano la nostra identità sociale: migranti, detenuti, persone con disturbi psichici, disabili, bambini. Non si tratta di rispondere alla marginalizzazione di cui queste persone soffrono in un’ottica meramente riparatrice, ma di metterle al centro della possibilità di reinventare il legame sociale. Grazie alla loro interazione con gli artisti coinvolti nei vari progetti, saranno costruite situazioni relazionali volte a implicare l’intera cittadinanza in esperienze capaci di stimolare il pensiero critico, la creatività e la produzione di legame sociale.
I progetti di arte transverberata hanno una natura partecipativa, processuale e integrata: i laboratori, condivisi fra i gruppi sociali e gli artisti, costituiranno il terreno di coltura per l’elaborazione e la realizzazione di una serie di output destinati alla cittadinanza: performance, spettacoli, mostre, produzioni editoriali, happening, installazioni, giochi partecipativi, workshop, seminari, dibattiti ecc. In particolare, la natura processuale dei processi creativi e relazionali sarà valorizzata attraverso la realizzazione di film (documentari, docu-fiction), che consentiranno alle esperienze di essere condivise con un pubblico più ampio.
Diversi potranno essere i partner di questi progetti: associazioni, amministrazioni locali, istituzioni nazionali e internazionali, fondazioni, sponsor privati, organismi culturali, musei, realtà produttive in campo editoriale, cinematografico ecc.