CORRISPONDENZE DALL'ALTRO MONDO
Una catastrofe ha separato due persone, proiettandole al di là del tempo e dello spazio, ed è come se la moltitudine dei mondi avesse affidato al loro amore la possibilità di esistere. Per ritrovarsi, dispongono solo di ciò che resta: i loro ricordi, che si inviano alla cieca in incerti messaggi, e dei frammenti culturali, conservati negli archivi della memoria. Trasformati dal desiderio in strani detective, non smetteranno di inseguirsi e di sfuggirsi, finché le loro strade riusciranno forse a incrociarsi.
Iniziato nel 2020, durante il periodo di confinamento, come una finzione letteraria in forma epistolare, il progetto è diventato uno spettacolo di arts croisés, prodotto dalla Compagnie en Lien e rappresentato per la prima volta nel 2021-22. La “corrispondenza” può essere intesa, sia nel senso letterale dello scambio di lettere o messaggi, sia nel senso di quelle “pietrificanti coincidenze” di cui parla André Breton, attraverso cui la nostra esperienza si apre alla rete infinita delle connessioni cosmiche. L’obiettivo del progetto è continuare a condividere i temi posti dalla scrittura-spettacolo – la solitudine, il desiderio, la ricerca di verità, l’arte, l’amore, la libertà – usando il dispositivo della corrispondenza per coinvolgere, non solo le persone che vivono la difficile esperienza della separazione e della solitudine, come i detenuti o gli anziani, ma anche quei “surrealisti naturali” che sono i bambini.
Compagnie en Lien, Nous sommes multitude. Correspondances de l’autre monde, Théâtre Municipal Jordi Pere Cerda, Perpignan 16 marzo 2022.
Testo e regia: P. Di Vittorio e O. Humbertclaude.
Interpreti: O. Humbertclaude (testo e violoncello) e B. Ferreux (testo)
Creazione sonora, video e piano: D. Codina i Bosch.
Creazione luci: J. Peltier.
Coreografia: V. Barrier.
Costumi: C. Jegou.
Avrebbe potuto essere una foresta carbonizzata dall’esplosione di una centrale nucleare.
Oppure un paesaggio devastato da un’alluvione o da un incendio.
O un vulcano che si risveglia seppellendo la città degli uomini.
Avrebbe potuto essere anche la nostalgia per un mondo perduto, nel quale ci si dava del tu con le foreste e gli animali, con l’acqua e il fuoco; un mondo nel quale, giorno e notte, si prestava ascolto alle divinità, terribili e benevole, che fanno pulsare il cosmo.
Alla fine, invece, è stata la guerra.
La madre di tutte le catastrofi.
Le macerie di una città scorrono in un piano sequenza che soffoca ogni speranza.
“Al tramonto un bambino si è impiccato.”
Un bombardamento aereo, forse la causa di queste rovine, appare come un volo di lucciole che disegnano nella notte le loro eteree geometrie.
Maelstrom della guerra e della sua insaziabile seduzione.
Esplode nel cielo il fungo atomico!
E poi un altro, e un altro ancora.
Sì, non siamo mai sazi, è così bello!
Un bagliore accecante squarcia all’improvviso lo spazio e il tempo, sembra inghiottire tutto, prima che dal suo buco di pura luce s’innalzino nel cielo sontuosi castelli d’ovatta.
“È la natura che sboccia!”, potrebbe esclamare un bambino.
Invece è solo l’oscena bellezza dell’annientamento finale.
Un ultimo sprazzo di luce prima del buio totale.
Ed è solo negli occhi di un dottor Stranamore che l’osceno può ripetersi come un’infinita promessa di godimento.
Ma le promesse sbiadiscono, i sogni si dissolvono.
L’Icaro del progresso e della civiltà giace ormai al suolo.
Brucia lo Zeppelin contorcendosi nella sua triste carcassa di tecnologia e di ferro!
In un attimo, la guerra, matrigna vorace, si riprende tutto.
Delle promesse e dei sogni resta solo il cadavere.
Un ultimo sprazzo di luce prima che tutto diventi buio.
Franz Schubert: Adagio dal Quintetto per archi in do maggiore, D 956.
Una donna suona il violoncello, poi scompare gradualmente dietro un velo di cupe immagini.
LUI (voce off):
Verrà il momento in cui dovremo lasciarci.
Una madre e un figlio, un figlio e un padre, un fratello e una sorella, una coppia di amici o di amanti.
I legami si lacerano come un tessuto infeltrito.
Il pianeta sanguina e con esso il cuore dell’uomo.
È come se parlassimo da un mondo che non esiste più, o dalla moltitudine deflagrata dei mondi, senza poter intravedere l’alba di un giorno diverso.
Si parla da un intervallo cieco.
Parlano le ombre e i silenzi, ultimi testimoni.
Dove sono i colori? Dove sono i sapori, i profumi?
Tutto è scomparso, da quando il sole è scomparso, da quando il pianeta è stato avvolto da questo eterno grigiore, da questa nebbia glaciale che ha cancellato il giorno e la notte, e che ora mi impedisce anche di respirare.
Qui tutto è buio, tutto ha un cattivo odore. Tutto scompare dietro questo strato di polvere nerastra che mi dà l’impressione di non poter mai toccare le cose e le persone. È come se i miei sensi si fossero atrofizzati.
Come se un funesto demiurgo avesse reciso una parte del mio sistema nervoso, costringendomi a vivere scollegato dalla fonte vitale dei miei pensieri e del mio cuore.
Ma, sai, mi va bene così. Penso persino che sia stata la mia salvezza. Sì, penso che sia stata una fortuna poter continuare i miei giorni sulla Morta (così ho battezzato la nostra amata Terra dopo il disastro), raggomitolandomi ogni giorno nel suo guscio doloroso, relitto malinconico che cresce nel grembo di questa madre, di questa vedova inconsolabile mai stanca mai di abortire.
Macchia nera su una tela nera: così, credo, sono riuscito a sopravvivere.
Un bambino entra dal lato destro.
Si siede a gambe incrociate sul pavimento e inizia a scrivere sul suo tablet.
Mentre LUI parla, il bambino alza la testa come se stesse pensando, guarda dinanzi a sé, poi continua a scrivere.
LEI arriva sul palco.
LUI:
Fremo di speranza e di terrore mentre ti scrivo queste righe.
Ieri ci hanno detto che la connessione era stata ripristinata.
Ora possiamo far viaggiare i nostri messaggi nell’universo e forse al di là.
Quanto tempo è passato?
LEI:
Non ricordo.
Che distanza ci separa?
LUI:
Non riesco a immaginarlo.
LUI:
Quando l’umano diventa un punto interrogativo, possiamo solo iniziare a sognarlo.
Il bambino esce di scena dal lato destro.
Lei lo segue con lo sguardo.
LEI:
Forse arriverà il momento in cui potremo di nuovo incontrarci.
La madre con il figlio, il figlio con il padre, l’amico con l’amico, l’amante con l’amante.
Una bambina entra dal lato sinistro e si dirige verso un baule collocato sul palcoscenico.