Fare un passo di lato abbandonando i sentieri battuti
Ritrovarsi nel deserto poveri di tutto
Senza soldi
Senza struttura
Senza status
Nudi e disarmati di fronte all’impossibile
Vertigine
Un cammello attraversa le vie della città
Riemergendo dagli abissi Eros e Thanatos si danno la mano
Si stringono in un abbraccio magmatico, informe
Il lutto e la festa
Qualcosa passa per la cruna dell’ago
Nonostante tutto
Conquista del vuoto che si riempie di tutti gli incontri possibili.
In una zattera ci sono dei tronchi di legno legati tra loro in modo molto lasco, così che quando si abbattono le montagne d’acqua, questa passa attraverso lo spazio tra i tronchi. Non tratteniamo le domande. Quando i problemi si abbattono, non serriamo i ranghi – non uniamo i tronchi – per costituire una piattaforma concertata. Ma esattamente il contrario. Manteniamo solo ciò che del progetto ci lega. Da qui l’importanza primordiale dei legami e del modo di legare, e della stessa distanza che sussiste tra i tronchi. È necessario che il legame sia sufficientemente lasco e che non lasci.
Fernand Deligny
Dal 27 al 29 settembre 2024, si è tenuta a Castello del Matese l’edizione pilota dello Zattere Fest, organizzato dall’associazione Ponti di Vista in collaborazione con transverberA. Un’occasione per riflettere e creare insieme, connettendo tre orizzonti di interesse: salute mentale, aree interne e pratiche artistiche.
Il design del festival è basato sulle “immagini” dei menhir e delle zattere (dette iconomacchine), volte a favorire l’incorporazione dell’idea di passare legandosi.
Attraversando filari di menhir ci s’incontra disegnando le rotte di itinerari dialogici disseminati fra la città e la campagna. Il superstite, con il naufragio ormai alle spalle, porta nello zaino un personale resto di catastrofe che è al tempo stesso la sua boa di salvataggio: lo scambio di questi frammenti eterogenei permette la costruzione di zattere comuni.
I viandanti fanno ritorno nella piazzetta di Castello, dove sorge un’installazione ispirata alle stesse immagini operative, e che gli artisti hanno via via trasformato in un presidio creativo con il coinvolgimento dei partecipanti nei loro laboratori.
Dopo aver depositato gli oggetti scambiati su un grande tavolo, e collocato le loro fotografie nell’installazione, ha luogo una restituzione collettiva dell’esperienza.
La sera concerti e dj set raccolgono la comunità in momenti di festa.
La domenica l’installazione è smontata per essere trasportata sulle sponde del Lago del Matese: qui è rimontata come una vera zattera che, salpando, annuncia l’edizione del Festival 2025.
Per orientarsi sulla Terra. Le stelle ammiccano eternamente indifferenti. È il beduino a proiettare le sue forme nel cielo, il marinaio a farvi apparire le sue figure. Tracciamo segni nel vuoto per continuare a muoverci nella notte. Solcando oceani e deserti. Costellazioni: mappe mobili nello spazio e nel tempo che ci guidano nel viaggio storico terrestre. Ciascuno ha le proprie. Sovrapponendole appare la rete di un cammino cosmico comune.
Per passare sulla Terra. Passi erranti nelle tenebre, incorniciati da filari di enormi pietre, come l’allineamento di menhir a Carnac in Bretagna. O come la sala ipostila del
tempio di Karnak in Egitto, 134 colonne fatte non per raccogliere e racchiudere, ma per far passare, per lasciar andare. L’idea di architettura capovolta. Sono gli erranti a inventare il mondo, prima che un mondo venga alla luce. E invenzione di un legame sociale: per innalzare i monoliti c’è stato bisogno di un enorme numero di uomini, perciò si presume che alla loro costruzione abbiano partecipato diverse popolazioni che confluivano in uno spazio di tutti perché terra di nessuno. Nessuna invenzione del mondo senza comunità di erranti.
Per salvarsi sulla Terra. Costruzioni di fortuna, fatte con i resti del naufragio. In teoria tutti i pezzi vanno bene, ma alla fine solo alcuni si rivelano utili. La macchina deve funzionare, e per funzionare dovrà essere qualcosa di diverso dalla nave naufragata. Costruire una zattera significa fare presa sulla realtà smettendo di immaginare la nave ideale. Investire sull’eterogeneità dei materiali intensificando il rapporto d’uso con la realtà. L’umano nasce sempre da un bricolage: pezzi di umano e pezzi di realtà animale e inanimata si assemblano dando luogo a un concatenamento cosmico. E la macchina funziona, sempre al di qua e al di là dell’umano. Deligny e la sua zattera sui monti, costruita con i bambini autistici e mutacici nelle Cévennes.
Concentrato di valore d’uso che intensifica il possibile. Prima di lanciarsi nel vuoto è bene esercitarsi a fare lo zaino. Le cose da mettere e quelle da togliere. Come quando si costruisce una zattera: evitare pesi superflui, soprattutto l’idea della nave perfetta, promessa di nuovi naufragi. Chatwin che regala il suo zaino a Herzog che continua il suo viaggio. Pegno d’amicizia, testimone di legami erratici.
Costellazioni, menhir, zattere: coordinate operative. Immagini che fanno cose. Cose che fanno riflettere su ciò che si sta facendo. Immaginando si fa, facendo si pensa. Incorporando le immagini-oggetto si crea un ambiente performativo integrato. Al posto di tanti pezzi giustapposti, un divenire pezzi all’interno della stessa macchina sociale desiderante.
Nella pancia dello zaino: la cassetta degli attrezzi. Ognuno porta con sé la propria e questo basta. Deposito di esperienze esistenziali, professionali, culturali, artistiche, militanti. Non uno status da incasellare in un programma stabilito, piuttosto un savoir-faire da mettere a disposizione secondo le occasioni e le esigenze comuni. Il convegno, il festival trasformati in officina. Improvvisando in modo rigoroso sul tema si continuano ad apprendere solidarietà e cooperazione.
In cima allo zaino: scarpe robuste per continuare a passare, funi volenterose per continuare a legare. Le parole fanno camminare, i passi fanno pensare. Parole-pensieri in movimento. Intrecciandosi nascono legami. Attraverso i legami una macchina desiderante si assembla e funziona.
In fondo allo zaino: una foto strappata o un libro sgualcito, la traccia di una ferita o un semplice sassolino. Resti. Archivi del naufragio. Memorie frammentarie delle rovine. Quando una mano li ripesca, la traversata può cominciare. Cose che fanno parole. Parole che disegnano itinerari. Stracci scambiati come regali fra le tribù. Le cose diventano nodi, dai nodi nascono zattere.